Tressette: storia e perché si chiama così


Fortemente radicato nella tradizione italiana, il Tressette è uno dei giochi più famosi e praticati del Belpaese, al punto da vantare anche numerose versioni online, grazie ad app per giochi di carte gratis come quella di Digitalmoka. Al pari della Briscola e della Scopa, anche il Tressette ha origini antiche e incerte e, nel corso dei secoli, ha dato vita a innumerevoli varianti, diffuse a livello locale e regionale, prive di regole codificate con precisione (così come la versione ‘standard’ del Tressette stesso). Ciò nonostante, è un gioco che richiede una buona dose di strategia, da attuare spesso in collaborazione con il proprio compagno di squadra. Questo però è solo uno degli aspetti che rendono il Tressette interessante e degno di nota; un altro è certamente quello relativo alla storia ed alle origini del gioco, nonché del nome, sul quale si sono elaborate, nel corso del tempo, numerose ipotesi (alcune fantasiose, altre più autorevoli). Vediamo in questo approfondimento quali sono le ricostruzioni più plausibili relative alla nascita del Tressette e del nome con il quale lo conosciamo al giorno d’oggi.

Perché si chiama Tressette

Circa l’origine – ancora indefinita – del nome “Tressette” ci sono, come detto, diverse ipotesi che fanno generalmente riferimento a possibili meccanismi e regole in uso nella forma originaria del gioco. Una di queste attribuisce la denominazione del gioco alla semplice apposizione di “Tre” e “Sette” che, un tempo, avrebbero indicato, rispettivamente, la carta di valore più alto e più basso (scartine escluse); il nome sarebbe poi rimasto in uso anche dopo che il 7 venne deprivato del suo valore minimo (1/3, tanto quanto le tre figure), diventando una scartina a tutti gli effetti. Leggermente diversa è la spiegazione proposta dal Codice di Chitarrella: “Il giuoco del tressette prende questo nome da tre sette, poiché al tressette a carte scoverte, è di regola che tre sette fanno tre punti”. Un’altra ipotesi, invece, rimanda al punteggio massimo da raggiungere per vincere una partita, ovvero 21 (tre volte sette), come asserito proprio dal Chitarrella (“per vincere bisogna fare ventun punti”) e, ancor prima, dalle Regole ed avvertimenti del giuoco del tressette” di Perione Cosentino, pubblicato a Napoli negli anni Venti del Seicento. Nel testo si legge che il gioco “prende la denominazione dall’istesse carte che si contano, come a cagion d’esempio dall’uno, o sia Asso, sino al numero Sette, e propriamente da quest’ultimo numero, perché sul suo bel principio furono le carte di primo conto, ed oggi giorno ancora lo sono in alcune parti di Italia, in tal maniera, che quando tre Sette si accusavano siccome il giuoco termina a ventun punto, così tre via sette, che fan ventuno veniva ad esser il giusto punto del suddetto, e per conseguenza il termine di una partita”. A confutare questa possibile ricostruzione etimologica, però, vi è il Trattato teorico pratico dei giuochi (pubblicato nel 1832), dove si legge che “alcuni trovano la sua etimologia in tre volte sette che forma 21, numero dei punti che in origine esclusivamente si richiedevano per vincere una partita”. Di contro, si legge, ciò sarebbe plausibile solo se “avesse prima esistito altro giuoco col nome di ventuno”. Il Trattato, quindi, prova a ricostruire l’origine del gioco (più che del nome) a partire dalla storia delle carte, in contraddizione con alcune delle ricostruzioni formulate all’epoca e nei secoli precedenti. Così facendo riconosce che il Tressette “è facilmente d’invenzione Europea e come vogliono i più spagnola”, e la nascita dello stesso “non è anteriore alla fine del secolo XVI”. A riprova dell’origine rinascimentale del gioco vi è anche una Prammatica (pubblicata sul proprio sito dalla FIGS, la Federazione Italiana Gioco Scopone) emanata nel 1631 dal Viceré di Napoli che indica tra i “Ludi permissi de novo additi” un “tre sette con 11 carte, tre sette scoverto a quattro montoni”, a testimonianza di come la dicitura “tre sette” fosse già di uso comune, così come probabilmente il gioco stesso nella sua forma primordiale. David Sidney Parlett, nel suo “The Oxford guide to card games” del 1990, fornisce un’ulteriore conferma dell’origine tardo cinquecentesca del Tressette che, nella sua versione originaria, avrebbe rimpiazzato un gioco preesistente (chiamato “Trappola”) e, assieme alla Primiera, contribuito “a consolidare la supremazia del mazzo italiano da 40 carte” a scapito dei tarocchi. Più significativamente, Parlett sottolinea la possibile relazione tra il nome “Tressette” e lo spagnolo “Tresillo” (da cui deriva “Terziglio”); nello specifico, l’autore scrive: “Terziglio o Tersilio, un nome che implica un gioco a tre mani e chiaramente affine con lo spagnolo Tresillo (Hombre), viene menzionato per la prima volta a Firenze nel 1822 con il nome Calabresella. Rapporti tra i due nomi sono implicati in un riferimento del 1845 al ‘Terziglio, denominato volgarmente Calabresella’ (virgolettato in italiano anche in originale, ndr). Se ‘Calabresella’ e la meno diffusa variante ‘Calabrese’ al posto di Tressette alludessero alla provincia della Calabria, questo potrebbe, di concerto con la similarità nominale di ‘Terziglio’ con ‘Tresillo’ e l’impiego di un mazzo da 40 carte, suggerire una possibile origine nelle regioni italiane precedentemente di dominio spagnolo, se non nella Spagna stessa”. Pertanto, anche se è difficile rispondere con esattezza alla domanda “perché si chiama Tressette?”, si può azzardare un’ipotesi del genere: il nome, così come il gioco stesso, potrebbe avere origine in Spagna (o nel Viceregno spagnolo di Napoli) nel Cinquecento; da ciò si potrebbe desumere che il termine sia assimilabile a “Tresillo”, successivamente italianizzato per assonanza o sulla base di un’originaria gerarchia delle carte o una particolare regola del gioco.

Leggende sul Tressette

Per quanto riguarda eredità folkloristiche e leggende sul Tressette storia e tradizione si mescolano, assieme a fonti storiche di dubbia attendibilità, specie circa l’origine de gioco. Secondo “Le Regole del Tressette” pubblicate a Catania ad inizio Novecento, ad esempio, il gioco “vuolsi sia stato inventato in Calabria; taluni pretendono essere stato creato in Napoli, altri invece asseriscono che siccome la Calabria faceva parte del regno di Napoli, così a ragione venne anche adottata la parola Napolitana”. Una vera e propria leggenda, invece, narra che il gioco sia stato inventato da quattro giocatori muti (o sordi) i quali, per poter comunicare, avrebbero messo a punto una serie di gesti (in uso ancora oggi) per scambiarsi informazioni durante la partita.

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